La pittura di Comencini è colore e luce.

 

I colori vivaci così accostati creano un mondo fantastico, che è gioia per gli occhi.

Le forme, falsamente semplici, ci tranquillizzano e affascinano come quando eravamo bambini.

 

I suoi volti, un mondo di connotazioni esterne ridotte all’essenziale, al minimo concesso all’oggetto, alla scena: non un passato che ci viene incontro, ma piuttosto un presente folgorato per un attimo dal lampo del magnesio…

 

Comencini è un personaggio senza frontiere per sua capacità di sorprenderci per la sua allegria, la sua risata, il suo ottimismo, la sua ironia, il suo impegno sociale, la sua arte dirompente nella varietà dei personaggi e nell’intensità dei colori.

Ora saremo semplici e non scomoderemo alcuna tesi. E diremo: il Comencini ha talento, senso pittorico più di tanti “noti” della città, ma questo naturalmente non basta. Il suo talento è coltivato liberamente, e questo è già qualche cosa. Tende alla figurazione senza rimasugli maleodoranti e domani eliminandola non sarebbe per impotenza. È un giovane al quale do credito perché deve avere l’ansia di conoscere, l’intelligenza per guidare il suo talento.

 

Gli oscillamenti della sua attuale pittura saranno superati senza escogitare una formuletta qualunque buona per invecchiare presto. Spero che queste mie parole gli diano quell’accoglienza che merita, essendo il Comencini “un giovane pittore nuovo” spinto fortemente verso la pittura, quando era già avanti negli studi alla facoltà di architettura. A Venezia ha esordito con orientamenti personalissimi entro il fenomeno dell’informale, cui sono seguite decise evoluzioni in direzione di una vocazione artistica più sottilmente intrigata con una manipolazione dell’immagine in senso ironico-sociologico”.

 

— Virgilio Guidi (1962)

Le sue opere non hanno certo bisogno di commento particolare perché parlano per lui e mettono in luce il suo calore, la sua raffinatezza ed il suo impeto di neo-realista, che sa prendere la vita dalla parte dove risplende il sole e, soprattutto, con molto humor che fa perno alla sua graffiante e sottile polemica della società d’oggi. I suoi spunti sembrano essere sbocciati da quelle famiglie e foto in gruppo ai tempi dei nostri nonni e del Douanier, ma che vengono da lui tradotti, per mezzo della pittura con l’aiuto di tenui colori pastello e la schematizzazione della forma, nelle tinte di fondo. Questo, specialmente per quanto concerne il colore, è quanto mai intelligente e degno di considerazione, e con una charme, irresistibile e contagiosa, la stessa che noi tenebrosi nordici, così diffidenti rifiutiamo.

 

— Hans Redeker (1973)

Soldados, sargentos, brigadas, generales, músicos, ociosos, niñas, repipis, boxeadores, desnudos cursi de mujer, matrimonio, grupos callejeros, prostitutas, vendedores ambulantes, grupos campestres, mujeres tentadoras, ritos, reuniones, grupos familiares, mujeres posando para el fotógrafo o acaso para el gran pintor de bigotes luengos, y un etcétera  muy largo de lo que fue una sociedad que casi rozamos con la punta de nuestros dedos – tan próxima esta todavía- o de una sociedad que está ahora y aquí,  es precisamente la que nos pinta Comencini. Este singular pintor, un día cualquiera de un también otoño cualquiera llegó a Barcelona sorprendiéndonos con su aspecto físico: corpulento, inmenso, infinito, sanchopancesco, bigotudo, y con la mirada inquiridora a través de sus lentes de gruesa concha buscara afanosamente todo aquello que le rodea en sus días y, sin duda, en sus noches barcelonesas. Comencini, astuto el, sutil el, con una dialéctica brillante y al mismo tiempo envuelta en matices que surgen muchas veces por medio de sus sagaces y justas interrogantes, interrogantes que cuando su interlocutor por cualquier contrariedad auditiva no alcanza el auténtico sentido de sus palabras entonces Comencini, gentil y con socarronería, repite su discurso, pacientemente. Comencini bebiendo en porrón catalán vino tinto mientras sus ojos – de niño? – saltan o giran brillantemente como balones de «rugby por encima de la mesa de mármol blanco del restaurante. Loco, lucido – como fueron, como son Ataúd, Lautreamont, Macedonio, Vian, Potocki por el mundo – también Comencini anduvo por la hermosa y al mismo tiempo putona Barcelona: por su barrio viejo, por el gótico y por la horrible parte nueva de la ciudad. Comencini se impresionó con Gaudí, el niño también ‘loco’ de Reus, con la tortilla española – huevo, patatas fritas, aceite y sal – que degustó como un ‘gourmet’ imitando tal vez al poeta del siglo XII arábigo- andaluz Todo Ben Quzman.

 

Antonio Beneyto (1975)

Guardate questi volti, questo mondo di connotazioni esterne ridotte all’essenziale, al minimo concesso all’oggetto, alla scena: non più un passato ci viene incontro ma piuttosto un presente folgorato per un attimo dal lampo del magnesio e così fissato … su cui taglia una luce netta, appunto, senza più le velature, la polvere di un tempo. Questa luce che apre squarci su rappresentazioni molto meno immediate, questi colori che riacquistano una libertà emotiva piena e lasciano una responsabilità non facile (volendo si potrebbe, peraltro, anche chiamarla libertà) all’occhio dello spettatore. Non sono più carabinieri, o ciclisti, emigranti, danseuses o altre figure qualificate dalla cristallizzazione di un ruolo, ma uomini e donne che devono qualificarsi attraverso un posto, una posa, o meglio attraverso una storia che possono portarsi dietro, che può, qui chiaramente, essere la nostra, personale o collettiva, di “spaesati a Mergellina”, di comparse al pranzo della Morra, di stralunati partecipi di una foto di famiglia.

 

Piero Amerio (1976)

Il mondo artistico di Eugenio Comencini sta tutto nel trapasso del nostro Paese da una società prevalentemente rurale, dominata dai grandi proprietari terrieri e ancora permeata da elementi feudali, a una formazione sociale industriale, che vede l’affermarsi dell’egemonia della borghesia imprenditoriale […]. Di questo trapasso storico Comencini “vede” soprattutto due aspetti: la dissoluzione della civiltà contadina e dei suoi valori e la formazione di un ceto medio disgregato e contradittorio. Innanzitutto la disgregazione della cultura contadina sotto l’incalzare dell’industrializzazione capitalistica. L’atteggiamento di Comencini nei confronti di questo aspetto della storia italiana mi sembra ambivalente. Da un lato ne coglie la fenomenologia, con rara penetrazione e acutezza. Dall’altro ne apprezza i valori di solidarietà e fratellanza, con rimpianto e nostalgia. È un mondo perduto, forse definitivamente: oppure, sembra suggerirci Comencini: ad esso (o meglio, ai suoi valori) bisognerebbe ritornare. È singolare come Comencini mantenga la medesima leggerezza di segno, nel passaggio tra la nostalgia di un passato perduto e la polemica verso un passato ancora oggi presente. La critica che i suoi quadri esprimono nei confronti della borghesia (e, soprattutto, nei confronti della piccola borghesia) è altrettanto aspra e feroce, quanto forte è la rievocazione della comunità contadina. Mi sembra che Comencini colga con grande efficacia alcuni temi caratteristici della “cultura” di quell’insieme disgregato ed incoerente di gruppi sociali che chiamiamo “classe medie”.

 

— Alberto Baldissera (1976)

Comencini sembra facile, ma non lo è. Con questo non si vuole dire che il rapporto dell’uomo e del pittore (ma architetto di studi e di laurea) con sé stesso e il mondo sia complicato, introverso, sibillino, e poi nascosto sotto la facilità leggibile dell’immagine, imbottigliato dietro il rutilare delle etichette di Erbaluce e di Dolcetto con gli amici all’osteria o sul prato del Primo Maggio. Si vuole solo dire che dietro a quella immagine facile, a quell’amore e compiacimento della narrazione diretta e inscenata del quotidiano nostro – individuale, sodàle, collettivo – non c’è casualità, ma precise scelte di giudizio critico e di costruzione della forma e del linguaggio. È una scelta la constatazione/affermazione, tra letteratura, visualità e – anche se il termine può apparire troppo serioso e accademico – sociologia del comportamento collettivo, che alcuni archetipico di quel comportamento, la solidarietà di gruppo, in divisa con alamari o in “tanga”, i riti naturisti del tempo libero, non sono sostanzialmente mutati dai tempi della foto cartolina, di De Amicis e dei canottieri impressionisti all’oggi tele-elettronico e dei racconti di Bukowski o di Tondelli.

 

Marco Rosci (1986)

Uomo d’arte e d’ingegno, Eugenio Comencini s’infastidisce se tenti di incastrarlo entro le uggiose trame d’una storiografia storicoartistica che, viceversa, piace tanto ai pedanti. Per questo non conviene dir nulla che possa orientare questi ultimi verso l’approdo su quest’isola vagante nella corrente, con segreto spirito hemingwayano, sempre in azione: protesa con elastica disinvoltura alla storia, dalla più aulica alla dimenticata e povera, o aggrappata più che all’oggi al domani, bagnata da ironia che si mescola con acidi allegri di complessa radice, francese e torinese, ligure e lagunare. Perché Comencini in questo è maestro: sa abbracciare la storia e farla attualità, sa tradurre il presente in un’eternità sottile. spiritosa, sa sorridere e farti sorridere di tutto, con indicibile delicatezza. Non lo dico io, sebbene il suo segno, quel suo disegnare senza sforzo e senza retorica.

 

Rolando Bellini (1999)

Gli studi a Venezia e la conoscenza del Rinascimento determinano il suo atteggiamento sul colore. Il colore nell’arte del Comencini riveste il ruolo principale. Sembra che il pittore ridoni ai colori la forza comunicativa che essi avevano nella pittura del Rinascimento italiano. Dalla purezza dei colori di Comencini nasce in noi la persuasione di poter raggiungere, passando da sensazioni casuali e soggettive, caratteri essenziali e assoluti. Il colore come luce, come qualità di un oggetto porta ancora una forza commotiva. Il colore esprime la gioia dell’esistenza. Più chiaro è il colore più c’è vita e gioia nel quadro. Il pittore si disancora quasi per intero dalle modulazioni chiaroscurali, crea il chiaro e lo scuro con la forza di superfici inondate di colori puri e locali […]. Non solo le linee separano una zona di spazio dall’altra ma anche il colore. Le sfumature calde dei diversi colori fermano la nostra attenzione sul primo piano. Le sfumature fredde invece spingono l’occhio verso la line dell’orizzonte. Non c’è ombra di dubbio che ci troviamo di fronte all’arte di un pittore fuori del comune che assomma in sé capacità professionali, erudizione, concezione della vita e grandezza d’animo.

 

Zoja Kamjscianova (2000)

Aerei, mongolfiere, il sogno, serio e giocoso, del volo. Aerei come una volta, che avevano la struttura esile e le ali di stoffa leggera, come aquiloni, o aerei più recenti, con eliche garbate come libellule. Se ne vedono molti, da qualche anno, nei cieli di Comencini, la cui misteriosa vocazione alla leggerezza si esprime anche con mezzi formali: come ad esempio il colore dato a campi piatti, che rende gli oggetti senza peso, o l’assenza di ombre, o cieli a sfondi bianchi, che fanno fluttuare le figure di un vuoto gradevole e un po’ inebriante. Amabile e benevola, una dote caratteristica del Comencini che si viene sempre più scoprendo uomo del XVIII secolo, illuminista razionale, e tuttavia affettuoso verso l’umanità, che si rifiuta di lasciarsi trascinare nelle atmosfere grevi oggi così in voga, alle quali oppone l’umorismo, il gioco serio della leggerezza, il levarsi ostinatamente in volo.

 

Gloria Vallese (2000)

La sua personalità forte ed il suo sguardo lucido e ironico sul mondo circostante gli hanno permesso di inventare un universo policromo in cui uomini, donne, bambini e bambine si muovono con leggerezza e apparente facilità. Non bisogna infatti farsi trarre in inganno dalla piacevolezza e dalla forza attrattiva dei quadri, perché in essi nulla è casuale o facile. Comencini era un architetto e la padronanza di giocare con spazi e volumi attraverso l’uso dei colori senza ombre e chiaroscuro è significativa. Allo stesso modo il tratto sottile e netto della penna nei disegni sa delineare le profondità di paesaggi riconoscibili, gruppi di persone in dialogo tra loro, tratti somatici di volti e oggetti silenziosi.   Comencini era un uomo di grande cultura e di ideali profondi che ha vissuto sia con l’impegno e la partecipazione politica attiva, sia con la sua arte. I colori vivaci accostati con cura a creare un mondo fantastico, sono una gioia per gli occhi e le forme così falsamente semplici ci tranquillizzano e affascinano come quando eravamo bambini.

 

— Cristina Giudice (2015)

Ma la sua arte, con i suoi soggetti solari e lunari, distanti e a fianco al tempo stesso, concreti e stilizzati volta per volta, come pochi altri artisti contemporanei hanno saputo fare in questi anni, la sua arte, dicevo, fu ed è un orizzonte concreto, una sorta di commento visivo (ma, si badi, mai visionario) dell’”utopia concreta” teorizzata da Ernst Bloch e contemporaneamente dalla severa ipotesi sociale scaturita dal pensiero gramsciano. Le sue figure raggianti che si aggirano libere in un mondo concorde e operoso possono essere ricondotte a questa visione di un mondo nuovo, ma non risulterebbero tanto incisive, durevoli, direi indimenticabili, senza quel plusvalore utopistico che l’“oltre” dell’arte è in grado di costituire e di diffondere. Nell’arte di Eugenio coesistono in modo a tratti mirabile queste due componenti: lo sguardo collettivo e utopico di un mondo “altro” e contemporaneamente la forza invalicabile della identità costitutiva del valore individuale, valore inalienabile oltre le differenze di classe. Ci sono molti modi per rappresentare questa forma del pensiero sociale: quella astratta e idealistica e quella concreta e vivente. Quest’ultima contiene in sé la sostanza dell’esserci umano e sociale, la tenerezza e comunanza del “vicino”. Eugenio ha saputo, senza esitazioni, da quale parte schierarsi: le ragioni, la complessità, le. fratture dell’umano e della sua storia hanno bisogno, per essere conosciute, delle forme della “narrazione”. Ognuno sceglie la propria. Lui ha magistralmente creato un mondo di comunicazione. Concludo enumerando almeno due punti fermi del suo lavoro: ironia e confidenza.

 

— Giorgio Luzzi (2022)