Eugenio Comencini
nasce a Savona il 19 settembre 1939

 

In realtà Eugenio avrebbe dovuto nascere a Piena Bassa, nella media Valle Roya, un piccolo agglomerato di case al confine con la Francia dove vivevano i suoi genitori, ma i venti di guerra avevano convinto la madre a scegliere un posto più sicuro. La madre Costanza, gestiva un bar-osteria con annesso negozio di alimentari, mentre il padre Eliodoro, o più semplicemente Doro, lavorava alla centrale elettrica di Airole, che aveva la presa d’acqua proprio di fronte alla stazione ferroviaria di Piena.

 

Il piccolo Genio, come veniva familiarmente chiamato, aveva meno di un anno, nel giugno 1940, allo scoppio delle ostilità tra Italia e Francia, quando donne e bambini furono invitati dai militari italiani ad abbandonare la zona. Costanza ed il figlio si trasferiscono a Verona, la città di origine del padre Eliodoro. La guerra contro la Francia fu breve e quindi rapido il ritorno. Quattro anni dopo nuovo sfollamento, su ordine del comando tedesco, e trasferimento della famiglia in Piemonte. Terminata la guerra la famiglia di Genio torna a Piena, diventata nel frattempo francese a seguito della rettifica di frontiera voluta dalla Francia con il trattato di Pace del 1947. Il padre Eliodoro opta per la cittadinanza italiana anche per il figlio e continua il proprio lavoro alla centrale di Airole che raggiunge ogni giorno da Piena, munito di passaporto. Intanto è arrivato il tempo della scuola e Genio, dopo la prima elementare a Ventimiglia, viene messo in collegio a Vallecrosia presso le suore di Sant’Anna e poi presso i Salesiani alle scuole medie. Prosegue gli studi frequentando il ginnasio ed il liceo classico presso i Salesiani ad Alassio.

 

Piena Bassa è stata, fino al 1944, un paese di frontiera, ultimo lembo di terra italiana, un agglomerato di grandi edifici pubblici, costruiti tutti in fila, su una stretta striscia di terreno tra la strada carrozzabile ed il letto del fiume. Vi abitavano pochi contadini e numerosi carabinieri, poliziotti, doganieri ed anche ferrovieri. Infatti a Piena vi era una imponente stazione ferroviaria della linea Cuneo Ventimiglia su cui transitavano treni internazionali che collegavano la Svizzera alla Riviera. Piena Bassa, diventata Piene Basse, non è più l’animato paese di prima della guerra. Gli edifici pubblici sono vuoti e cadenti, la linea ferroviaria non viene ricostruita e la stazione rimane abbandonata. Sono presenti solo pochi gendarmi e doganieri francesi e due o tre famiglie. Costanza mantiene aperto bar e negozio contando sia sui clienti di passaggio italiani e francesi, sia sugli abitanti di Libre e Piene Haute che vengono a rifornirsi al fondo valle.

 

Genio, durante le vacanze, torna volentieri a Piena, dove vivono ancora i nonni materni. Questi soggiorni estivi nel paesino di frontiera avranno una grande influenza sulla sua crescita culturale e poi sulla sua pittura. Infatti la casa della madre, la stazione ferroviaria, le tavolate all’osteria le ritroviamo nei suoi quadri così come sono proprio i personaggi che qui incontra, gendarmi e doganieri con le loro divise, e contadini o viandanti e che vede al bar intenti a sorbire, senza fretta, in allegria, qualche buon bicchiere di vino, che lasciano una impronta profonda nella memoria di Genio e di cui troviamo traccia nella sua pittura. Divise militari e vino sono temi che ritornano spesso nel suo dipingere. Anche gli aspetti paesaggistici della Valle Roya attraggono la sua attenzione.

 

È proprio il paesaggio della Valle, a tratti aspro e roccioso, a tratti ricco di boschi e, più a valle, di ulivi, con ampie macchie colorate di verde e, in autunno, di rosso e giallo, con estese zone terrazzate coltivate amorevolmente dai pochi eredi degli antichi contadini, ad avere grande impatto sulla pittura di Comencini. Tra essi il nonno Barba Gè gran costruttore di muri a secco. L’anima contadina e gli antichi mestieri riemergono spesso nella sua pittura, per esempio con i raccoglitori di ulive. Eugenio accanto alla natura vede anche le opere dell’uomo, non solo dell’uomo contadino ma in senso più ampio dell’uomo faber, del costruttore di opere e macchine.

 

Eugenio parla volentieri delle sue esperienze giovanili, sia di quelle di impronta agreste che di quelle culturali in senso più ampio. I contadini, che tanto attraggono il Comencini, abitano essenzialmente nei due villaggi dislocati in alto, sui due versanti della valle, raggiungibili ognuno in circa mezz’ora, percorrendo ripide strade mulattiere: uno di essi è Piena Alta, ora Piene Haute, anticamente Penna, già territorio della Repubblica di Genova, e l’altro è Libri, con le sue borgate sparse sul piccolo altopiano.
Un incontro importante di quegli anni è con Francesconi, che vive a Libri, il villaggio adagiato a mezza costa sulla riva sinistra del Roya. Francesconi scende spesso a Piena e si ferma al bar di Costanza e chiacchera o meglio si rivolge, con il tono del predicatore, ai pochi avventori. Il Francesconi è un convinto negatore dell’esistenza di Dio, fino a dare il nome di Ateo all’unico suo figlio, poi laureato in medicina. In politica è un anarchico socialista che tuona contro i governi e le oligarchie che opprimono i popoli. Genio ormai adolescente ascolta questi discorsi, cerca di contrastarli con gli argomenti che la frequentazione dei salesiani gli aveva messo a disposizione, ma poco per volta subisce il fascino dell’anziano anarchico socialista. Poi sarebbe venuto il 1968 con la irruenza delle nuove idee.

 

Piena è anche il luogo di due drammatici incidenti. Nel primo caso il protagonista è Genio dodicenne che sopravvive ad una rovinosa caduta di bicicletta. Lo racconta lui stesso: «…sono caduto mentre in bicicletta mi recavo alla cantoniera (ora casa Borelli) a prendere l’acqua fresca alla fontana che tuttora esiste di fianco alla casa. Soccorso e portato a Ventimiglia, mia madre, donna di grande buon senso e intelligenza naturale, volle riportarmi e curarmi a Piena durante i tre giorni di coma (mi ero procurato una frattura del parietale sinistro cadendo dal parapetto nella sottostante fascia di olivi).» Sembra che si fosse appoggiato al muretto che delimitava la strada e fosse caduto nella fascia sottostante senza poterselo spiegare. Il secondo incidente, alcuni anni dopo, nell’estate del 1960, è ben più serio e riguarda il padre di Genio. Eliodoro cade dalla scala esterna della casa di Piena. Viene raccolto in coma. Sopravvive per alcuni mesi ma, malgrado un intervento chirurgico, il 30 agosto 1960 muore. Genio non ha ancora compiuto 21 anni.
Al momento della decisone degli studi universitari Genio sceglie architettura e Venezia, dove si iscrive nel 1958. Visita quasi settimanalmente il museo Peggy Guggenheim dove ammira i Picasso, i Leger, i De Chirico, pittori che ebbero un influsso importante per la sua preparazione. Lui stesso dichiarò che il suo primo modello di pittura si rifaceva al novecento italiano (Guidi, Licini, De Chirico, Tosi) e che era una pittura figurativa – gestuale, “aiutata collateralmente da un grande desiderio di rompere gli schemi della nostra pittura con un più ampio respiro che mi derivava dalla conoscenza, ancora molto giovane, delle opere di Picasso e di Matisse”. Alla morte del padre per essere più vicino alla madre si traferisce al Politecnico di Torino. Sarà un percorso di studio lungo, frequentemente interrotto per dedicare tempo alla passione per la pittura, che si conclude con la laurea nel 1970, quando già era un artista affermato. Durante il periodo universitario lavora con diversi architetti come disegnatore e progettista, acquisendo quella familiarità con il disegno che ritroveremo nelle sue opere. Subito dopo la laurea, il 4 gennaio 1971, si sposa con rito civile con Piera Ferraris, conosciuta alla facoltà di architettura. Sarà l’amore della sua vita. Mentre Piera, dopo un periodo di assistente volontaria alla cattedra di Restauro del Prof. Andrea Bruno, abbraccia la libera professione, Eugenio può finalmente dedicarsi interamente all’amata pittura, sia come insegnante che come pittore.

 

Dal 1978 al 1995 insegna all’Accademia Albertina di Torino, prima alla cattedra di pittura poi alla scuola libera del nudo, infine, dopo un anno all’Accademia di Belle Arti di Palermo, nel 1996 si trasferisce all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove nel 2007 era ancora docente di pittura. Ha fatto parte del Gruppo Denunzia dal 1972 al 1977. È stato redattore della rivista torinese «Nuova Società» negli anni 79-80 e membro attivo per un ventennio della Cooperativa Arti Visive 78, che annoverava artisti come Marco Seveso, Daniele Fissore, Giuseppe Grosso, Longo, Rasma, Tongiani e Vigant, ma di tutto questo parleremo più diffusamente nel seguito.

 

Eugenio Comencini si è spento a Torino nel 2015.